21 Settembre 2024

Giuseppe Artale, il poeta spadaccino

Poeta e spadaccino, Giuseppe Artale nacque a Catania nel 1628 da famiglia nobile che vantava discendenza da un casato della Catalogna. Fu marinista, ovvero poeta eccentrico, barocco, secentista. La sua fama arriva ai nostri giorni per le opere poetiche ma anche per il temperamento audace e particolarmente rissoso che lo portò a condurre una vita piuttosto avventurosa. Pare fosse un cultore di poemi cavallereschi, appassionato lettore dell’Orlando Furioso i cui versi amava citare a memoria. La sua fu una personalità forte, pensate che già a quindici anni fece parlare di sé come di un giovane cupo e litigioso, in particolare in seguito a un evento che lo condusse a trovare riparo in un convento. La provocazione di un gentiluomo spinse l’Artale a rispondere con la lama in un regolare duello che vide la morte del provocatore.

In convento l’Artale si diede agli studi filosofici, una volta uscito invece rimase orfano di entrambi i genitori e questo lo spinse a cercare una strada sicura nella carriera cavalleresca. Lasciò l’Italia, s’imbarcò in una galea dell’Ordine di Malta per combattere contro i turchi nell’isola di Creta. Fu impavido, la sua fama fu legata all’approdo da solo su una nave nemica e alla decapitazione della testa di un moro forzuto che, una volta imbalsamata, portava con sé per vantarsi del proprio valore. Un’impresa con cui riuscì a meritarsi l’iscrizione alla cavalleria aurata costantiniana di San Giorgio.

 La guerra, lo spirito combattivo e romantico ante litteram lo fecero conoscere in Italia, in particolare a Napoli, dove andò ad abitare nel 1654, ma anche in Germania dove fu chiamato con l’appellativo di der Blutgierige Ritter, ovvero lo spadaccino sanguinario. Piuttosto, al rientro da Creta, andò a Venezia per pubblicare le sue prime opere letterarie, e divenne accompagnatore di personalità influenti come l’imperatore Leopoldo I. Fin dagli esordi lirici (Della Enciclopedia poetica, libri I e II) la sua vena si accosta a quella che Benedetto Croce chiamò “il secentismo del secentismo”. Egli fu infatti un continuatore di Giovan Battista Marino, esasperando il canone del concettismo oltre ogni misura. Accanto alle vicende d’armi, Giuseppe Artale scrisse dell’innamoramento, delle sofferenze del galeotto, della peste napoletana del 1656.

La sua fortuna letteraria è anche legata al genere del romanzo: nel 1660 pubblica il Cordimarte in cui racconta le avventure di un coraggioso guerriero e del suo amore per la regina di Bisanzio. Ormai in là con gli anni l’Artale attenua gli istinti guerreschi, si converte dalla sregolatezza giovanile, tenta un approccio più pessimista del mondo circostante, e lo fa con L’Alloro fruttuoso, la sua opera più famosa in cui invocò la morte, che lo colse nel 1679.

Daniela Frisone

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