Il caso, speculare a quello di Calogero Vicario e degli altri lavoratori delle Industrie Meccaniche Siciliane, è quello del lavoratore Salvatore Patania, che ha lavorato al Polo Petrolchimico Enichem di Priolo Gargallo nel siracusano con la mansione di operaio montatore. Nello specifico ha lavorato alle dipendenze di Siciltecnica Srl per 14 anni e di C.L.A.I Srl per un anno. Nello svolgimento delle sue mansioni lavorative è stato esposto alle fibre e polveri di amianto, ma non era consapevole dei rischi. Solo dopo essere andato in pensione, l’uomo, a cui nel frattempo era stata diagnosticata una “nodulità polmonare”, assieme ai suoi colleghi, fu informato circa l’esposizione alla fibra killer e ha fatto richiesta dei benefici contributivi per esposizione amianto all’INAIL di Siracusa che ha riconosciuto l’esposizione, ma ha respinto la domanda, unitamente all’INPS, perché l’esposizione risultava inferiore ai dieci anni previsti dalla legge.
Da qui, i vari ricorsi in tribunale durante i quali il CTU del lavoratore accerta che fu esposto per un periodo di 14 anni e che quindi avrebbe potuto godere dei benefici amianto.
Nei giudizi, però, sulla base di una CTU tecnico ambientale che aveva riconosciuto una esposizione inferiore ai 10 anni, il ricorso dell’operaio viene rigettato sia dal Tribunale di Siracusa, che dalla Corte di Appello di Catania, che ne ha dichiarato l’inamissibilità.
La sentenza è stata impugnata, perché illegittima, dall’Avv. Ezio Bonanni, legale dell’uomo e Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, che è riuscito a ribaltare le due precedenti decisioni ottenendo ragione della Corte di Cassazione che nel dispositivo ha rilevato: “la pronuncia non terrebbe conto dei documenti che dimostrano il superamento della soglia di 100 fibre litro per l’intero periodo di lavoro, anche dopo il 31 dicembre 1992”, stabilendo così il principio che, per poter determinare il termine ultimo di esposizione all’amianto, non si deve tener conto dell’entrata in vigore della L. 257/92, quanto piuttosto della reale condizione lavorativa, e quindi della data delle bonifiche (che in questo caso furono effettuate solo successivamente all’emanazione della legge), dell’impiego operativo, e delle misure di sicurezza, ha disposto un nuovo giudizio in Corte di Appello di Catania.
“Sono riuscito a trovare quella fiducia nella giustizia che ormai avevo perso, è stata dura affrontare questa situazione dal punto di vista economico, e soprattutto dal punto di vista psicologico – spiega Patania. “Sono sempre stato a contatto con le fibre di amianto e altri cancerogeni e ho avuto diversi incidenti sul lavoro – aggiunge l’ex lavoratore – “raccontare come si vive all’interno di uno stabilimento non è facile… si lavora direttamente a contatto con inquinanti, altissime temperature e rischi continui di incendi, soprattutto quando i macchinari vanno in blocco. Quanto alla “polvere bianca”, cioè l’amianto, si sprigionava nell’aria e a noi sembrava che fosse talco. L’amianto era presente dovunque, nelle coibentazioni, nelle guarnizioni, nelle paratie, nei forni, nelle tubature. Nessuno sospettava che quell’innocua polvere fosse un killer silenzioso. Il candore che conferiva ai rivestimenti ce lo faceva percepire addirittura come qualcosa di affascinante”. Ora la determinazione della Cassazione che apre un nuovo spiraglio per tutti i lavoratori del Petrolchimico. L’ONA prosegue il suo impegno per il prepensionamento dei lavoratori del Polo Petrolchimico Enichem di Priolo-Melilli-Augusta ed è impegnata nella tutela delle vittime di amianto, dei loro familiari e di tutti i lavoratori esposti.
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