Ci spostiamo ad Augusta per parlare di credenze popolari. Due in particolare, seppure un po’ spaventose, attirano la nostra curiosità. Quella del fantasma Tulè e l’altra, della Femmina Morta. Si tratta in ogni caso di memorie dei primi del Novecento, un tempo in cui si amava fantasticare sulle storie del passato. Avvenne nel XVIII secolo, la vicenda di un certo Antonio Cillizza, detto Tulè. Il tizio era un noto criminale che terrorizzava con misfatti di ogni genere la vita degli augustani. Non durò molto la sua vita da bandito: fu catturato dalle autorità e condannato alla pena capitale.
Pare si aggiri intorno al 1747, l’anno della sua impiccagione. Un’esecuzione cruenta, la forca per Tulè venne allestita nella piana di Terravecchia. La leggenda vuole che il suo sangue oltrepassasse il patibolo condannando la sua anima a girovagare senza meta. Secondo la tradizione il malfattore riuscì a terrificare per circa un secolo gli augustani, anche dopo la sua morte. Di notte un fantasma senza pace si aggirava in vecchie case e in edifici in costruzione. Strana vicenda: nell’immaginario comune, gli spettri non abbandonano il luogo del loro martirio. C’è da credere, allora, che forse non era quello di Tulè lo spettro che scorazzava nell’Augusta ottocentesca. Ad ogni modo i segnali della sua presenza pare fossero sempre gli stessi: si rotolava sui letti, sbucava dalle finestre con rantoli e lamenti. Era il terrore degli inquilini delle case abitate. Un incubo che però svanì all’alba del XX secolo, quando gli augustani non alimentarono più la sua fantasia. L’altra leggenda, invece, un po’ più romantica, è tratta forse da un fatto realmente accaduto. Parla di una donna, Maddalena, che, adottata in tenera età da un contadino, era convolata a nozze con un pescatore di nome Andrea. Un giorno i due decisero di trascorrere un po’ di tempo in una casetta di amici accanto alla scogliera di Sant’Elena. Raggiunti il posto, Andrea lasciò lì sua moglie, si imbarcò verso Punta Izzo per pescare, ritornò e quella fu una giornata felice. La sera però l’uomo prese di nuovo il largo per controllare la posa delle reti, ma non fece più ritorno. Maddalena, disperata, dalla scogliera si mise a invocare a squarciagola il suo nome.
La storia si sposta a qualche anno dopo, quando il figlio dei due, Giuseppe, convinse la donna a fare una gita in barca. Fino a quel momento, Maddalena lo aveva sempre protetto dal mare: ebbene, acconsentì, si misero in viaggio e li travolse una burrasca. Si dice che la mattina seguente, nel luogo oggi chiamato “Cala Femmina Morta”, fu ritrovato solo il corpo della madre. Del figlio neanche l’ombra. Per molto tempo ci fu chi giurava di udire le urla strazianti di Maddalena per il suo amato. Concludiamo con un’ultima chicca dell’al di là megarese. Verso la metà dell’Ottocento, pare che il fantasma di un cavallo senza testa percorresse i dintorni dell’attuale via Epicarmo. Una notte un gruppo di abitanti decisero di scacciare la sua presenza e lo accolsero con bastonate e frustate. Ammesso sia possibile licenziare così uno spettro, pare che da quel momento in poi l’ombra del cavallo senza testa scomparve dagli incubi degli augustani.
Daniela Frisone
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