Il Castello di Palazzolo Acreide ha molto da raccontare. Dai Normanni in poi, diverse furono le dinastie che si susseguirono, ma un fatto in particolare ha determinato la sua accattivante storia. Ci fu un tempo in cui il baronato di Palazzolo apparteneva agli Alagona, che nel 1533 furono i protagonisti di un’oscura congiura. Un articolo a firma di Vincenzo Teodoro riporta una nota del notaio Infantino, depositata nell’Archivio di Stato di Siracusa: “Questo Artale II fu ucciso da Ponzio suo fratello in aedibus Castri Palatioli che per tal fraticidio fu decapitato”.
Lo studioso attinge da altre fonti per narrare la sanguinosa vicenda: “Il delitto di un dominus non è cosa di tutti i giorni, o frutto di una estemporanea follia: matura nel tempo, dopo che al dubbio subentra il sospetto e all’ansia l’incubo”. Così, “tra scandali e pettegolezzi, furono queste strane fisime ad agitare i sonni di Ponzio – controverso personaggio dell’antica casata – da quando fiutò una presunta tresca tra il fratello Artale (peraltro sposato con D. Vincenza Lucchese) e la giovane Joannella”. Quest’ultima, moglie del Secreto Gerolamo Gioeni di Modica, pare avesse respinto le avance di Ponzio. Ci muoviamo sul piano delle ipotesi, se diamo per buono che lo scontro tre i due fratelli sia stato dettato da sentimenti di mostruosa gelosia. E sempre per ipotesi si è pensato che il fratello di Artale utilizzasse un falso pretesto per istigare il marito di Joannella a ordinare un’esecuzione in piena regola.
Ecco invece la cronaca del misfatto: “Il raid scattò il 4 settembre 1533, alle ore due di notte, mentre il borgo sonnolente smaniava nell’afoso silenzio estivo. Al segnale convenuto i sicari, armati di scopette e di archibugi e con le micce accese alle serpentine, irruppero nella sala e aggredirono il Barone: il quale si difese con la forza di un gagliardo cinquantenne, ma poi, trafitto e sanguinante si rovesciò con un ultimo gesto di rabbia’”. Artale morì e Ponzio, il giorno seguente, in corso di indagini, si affrettò a convocare il notaio Salvatore Infantino, il cugino Andrea Alagona e il nobile notaio Dalmazio Noto, per decretare il proprio diritto alla successione come unico erede maschio.
Nel frattempo finse di avere scoperto gli assassini di Artale. “Ne fece i nomi – sottolinea Teodoro – e fu un errore che pagò caro, in quanto quelli, tutti complici rei confessi, prima di finire chi sulla forca, chi in galera, lo accusarono di essere stato lui il principale mandante. Di fronte a prove schiaccianti, egli recitò la parte dell’innocente, ma fu smascherato e processato dalla Regia Gran Corte, e affrontò la sentenza di morte con aria tesa e smarrita, venendo giustiziato a Palermo “more nobilium” (con la decapitazione) nell’anno 1534”. Da qui in poi una leggenda si agita tra le mura del castello: lo spettro di Artale, ucciso per mano del fratello, non trova pace a causa di una morte cruenta…
Daniela Frisone
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