È un testo poco conosciuto. O per lo meno è conosciuto dagli addetti ai lavori. Evoluzione e comportamento, un saggio edito alla fine degli anni Ottanta, va oggi più che mai scoperto e rivalutato. Il suo autore è Angelo Vitale, un medico di origine ragusana, ma siracusano d’adozione: ortopedico di chiara fama, le cui intuizioni scientifiche sull’evoluzione degli esseri viventi sono la punta di diamante della sua carriera. Sarebbe complesso restituire tutto il senso di Una nuova ipotesi tra Lamarck e Darwin. Tentiamo comunque di riportarne qualche traccia, sbirciando tra i capitoli dedicati alla memoria, alla trasmissione del comportamento, all’apprendimento e all’intelligenza umana.
La ricerca di Vitale nasce dal presupposto che l’origine della vita non è casuale ma necessaria: “il primum movens della vita deve essere un aggregato proteico: la vita non è del DNA, ma delle proteine”. Questo metterebbe in discussione il pensiero dominante, cioè l’ipotesi neo-darwiniana sull’importanza del DNA, che però non spiega alcuni fenomeni di grande importanza, come i comportamenti innati, l’intelligenza e la memoria.
Vitale non crede nella “cieca casualità ipotizzata dal neo-darwinismo”, piuttosto in “un adeguamento graduale ma intelligente, una serie di risposte semplici, il cui sommarsi è capace di creare una struttura logica”. Allora riprende Lamarck, un po’ “snobbato” dagli studiosi contemporanei, e afferma: “l’evoluzione non è automatica e l’essere vivente non la subisce passivamente ma, in tutti i sensi, esso è l’artefice della sua evoluzione”. E ancora: “evolve soltanto chi è capace di mutare il proprio comportamento utilizzando nuovi dati di conoscenza”.
La memoria non è altro che la quantità delle informazioni a nostra disposizione, e “l’uso dei dati di un’ampia memoria consente programmi operativi assai più articolati”. In pratica, per tutti esistono delle esigenze, ma è il modo in cui le si organizza che determina il proprio comportamento.
“Non credo – sottolinea Vitale – che la tecnica di caccia di un pesce, di un rettile e di un mammifero differiscano tanto, ma sono tutte egualmente complicate. Differisce soltanto l’integrazione a livello cosciente che, accennata nel pesce, si intravede nei rettili, è chiara negli uccelli, ancora più chiara nei mammiferi e massima nell’uomo”. E qui si arriva al concetto di intelligenza, su cui il medico siracusano afferma: “Come entità a sé stante l’intelligenza non esiste ma, con ogni probabilità, essa è una qualità della memoria. Il caso può agire sull’ambiente ma non sull’essere vivente la cui risposta non è casuale. Senza memoria non è possibile alcun programma operativo”.
L’intelligenza, dunque, è meglio definita come “capacità di associare due dati per averne un terzo che, pur prendendo da ognuno dei due dati originari un nucleo, nella sua essenza è qualcosa di totalmente nuovo”. Ecco allora un esempio straordinario: “un mulino a vento sfrutta l’idea della ruota, sfrutta l’idea della vela ma non è né una ruota né una vela”. Il rischio, nell’evoluzione dell’uomo, è solo il rifiuto di un nuovo dato di conoscenza, che gli causa un “comportamento fisso” con un conseguente arresto della propria crescita.
Daniela Frisone
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