22 Settembre 2024

Teatro di Andromeda, un viaggio verso il cielo

È un luogo del tempo, lo specchio di un pezzetto di cielo. La culla di una storia d’amore tra l’arte e un semplice pastore che osservava le stelle, che credeva nel destino. Chi giunge fin qui, a Santo Stefano di Quisquina nell’agrigentino, incontra una storia. Forse la storia tra le storie, perché unica nella sua realizzazione. Il teatro di Andromeda è di forma circolare, pietre color caramello racchiudono una pavimentazione antracite in cui si stagliano centootto cubi chiari svasati. Di fronte un’ellisse che punta a una porta che sa di eternità, e oltre – a mille metri di altezza – i monti Sicani. Il teatro incontra l’orizzonte di terra, cielo e mare che nei giorni di quiete sfiora Pantelleria. Ma l’incontro più importante (uno straordinario presagio di futuro!) è con il cielo sopra le nuvole. Lorenzo Reina è l’autore di questo mondo incantato. È un pastore artista e viceversa, un poeta della vita. Di lui e del suo teatro all’aperto hanno parlato in tanti, dai giornali al mondo dell’arte, tutti sanno della sua opera. Anche noi siamo andati a visitarla e ci è sembrato di attraversare un sogno fatto di arte e natura. Nelle parole di Reina la storia dell’incanto nato trent’anni fa…

«Mio padre mi voleva pastore, così ho passato la mia infanzia tra pecore e cani e un solo libro. Di notte scolpivo alabastri in una stalla dove riposavano altri pastori: “Vai a dormire, lasciaci dormire” urlavano tra le bestemmie. Ma io non ascoltavo, continuavo a scolpire al lume di un pezzo di stoffa immersa nella nafta, e quando le mie narici si riempivano di polvere e di fumo uscivo fuori a respirare sotto le stelle. Una notte chiesi al cielo di non farmi mai sazio della mia arte e sono stato ascoltato. In tanti mi chiedete come è nata l’idea del teatro. È scritto che “lo Spirito, come il vento, soffia dove vuole” e alla fine del millenovecentosettanta ha soffiato qui, su questa collina dove portavo le pecore al tramonto a ruminare in pace. E qui, restavano immobili come nell’immobilità della pietra. E mi parlavano, mi dicevano che in questo luogo dimorano Spiriti buoni. Così decisi di costruire qui un teatro di pietra».

Ecco il motivo personale, le sensazioni positive sprigionate da un luogo, la suggestione e la preghiera, la spinta profonda ad attraversare i secoli all’indietro fino alla concezione greca del teatro all’aperto, alcova di misticismo e comprensione di se stessi. Poi arriva il pensiero più brillante, quello che spinge in avanti ed è sempre Reina a svelarcelo: «Molti anni dopo, ho saputo che la Galassia M31 della Costellazione di Andromeda si unirà con la nostra Galassia tra circa quattro miliardi e mezzo di anni e cominciai ad alzare un recinto sacro alle 108 stelle visibili della Costellazione di Andromeda».

Si giunge quindi al pensiero circolare, il tempo che chiude il suo giro perfetto e dal passato arriva al futuro e ritorna, indietro e avanti, con percezioni più o meno profonde. L’attesa, forse è questa la parola che più di ogni altra accompagna il visitatore silenzioso. Centootto stelle su cui sedersi e aspettare l’incontro che avverrà. Così Reina al termine del suo messaggio annuncia: «Adesso ascolta il silenzio, siedi su una stella e guarda la terra. Questo non è un teatro… ma un’astronave che sta viaggiando verso la Galassia di Andromeda».

Daniela Frisone

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