In attesa di esaminare il testo definitivo approvato dal Consiglio dei Ministri, l’Ance esprime alcune prime considerazioni sull’impianto del nuovo Codice dei contratti pubblici da sanare in sede politica.
Bene l’introduzione del principio del risultato, della fiducia, di conservazione dell’equilibrio contrattuale e i principi di legalità, trasparenza e concorrenza. Positivo è certamente poi il processo di digitalizzazione delle procedure, così come il rafforzamento degli strumenti di deflazione del contenzioso giurisdizionale.
Tuttavia, per far sì che questi principi siano effettivi e non ripetere gli errori fatti nel Codice 50, occorrono alcuni essenziali correttivi al testo entrato in Consiglio dei Ministri, da parte di Governo e Parlamento.
Ecco alcune delle principali contraddizioni contenute nel testo. Secondo il principio del risultato l’opera pubblica deve essere aggiudicata a chi è in grado di assicurare il miglior rapporto qualità-prezzo. Ma ciò non si concilia con l’avvenuta eliminazione del tetto massimo al punteggio da attribuire al prezzo in sede di offerta economicamente più vantaggiosa. Così facendo, in aperto contrasto con la disciplina europea per giunta, si reintroduce di fatto il massimo ribasso.
Del tutto condivisibile anche l’affermazione del principio della fiducia: si tratta di una svolta nei rapporti tra Pa e imprese, rispetto al passato. In questo senso allora appare del tutto contraddittoria la figura dell’illecito professionale la cui definizione appare piuttosto aperta e per di più ancorata ad accertamenti anche non definitivi, come un semplice rinvio a giudizio. E’ evidente che così facendo non risulta affatto superato il principio di colpevolezza a carico delle imprese che permeava il precedente Codice 50.
Da rendere effettivo anche il principio dell’equilibrio contrattuale che, nel testo finora disponibile, si scontra con la norma scritta sulla revisione dei prezzi che prevede troppi limiti (alea e percentuale di riconoscimento delle variazioni) e meccanismi di funzionamento troppo complessi per essere efficace. Si perde così l’occasione di risolvere una volta per tutte un problema su cui si è dovuti intervenire finora con innumerevoli decreti d’urgenza e non si scongiura il rischio, in caso di aumento dei prezzi, di bloccare tutti i cantieri.
A restare, per il momento, ancora sulla carta anche il principio di concorrenza e trasparenza. Per effetto combinato della normativa che estende eccessivamente le procedure negoziate sotto soglia, di quella sui settori speciali, ormai del tutto liberalizzati, e sui concessionari senza gara la quasi totalità delle opere pubbliche può essere sottratta al mercato. Si taglia sui tempi delle procedure di gara, quando invece, la maggior parte dei ritardi dipende dal labirinto di atti, autorizzazioni e pareri prima della gara.
In contrasto con il principio di tutela e sicurezza del lavoro appare anche la norma che consente di applicare altri contratti oltre a quello dell’edilizia. Bene invece il subappalto a cascata se limitato, come sembra prevedere il testo. Una catena infinita di subappalti non è compatibile con un doveroso controllo di qualità e sicurezza.
Desta comunque preoccupazione l’assenza di certezza in relazione alle precondizioni che il Consiglio di Stato individua come determinanti per la concreta attuazione della riforma: formazione della Pa, digitalizzazione e qualificazione delle stazioni appaltanti. Di queste, due devono ancora partire e una appare troppo blanda.
Il nuovo Codice sconta, dunque, un errore di metodo, che è forse all’origine della contraddizione tra principi annunciati e norme di attuazione: è stato redatto senza un adeguato confronto con chi con questo Codice deve lavorare.
Impostazione che è stata alla base del fallimento del Codice 50 e che quindi non può né deve ripetersi.
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