
Facciamo tesoro delle opere di Giuseppe Emanuele Ortolani, avvocato e letterato che nel primo ventennio del Diciannovesimo secolo diede una spinta notevole al genere biografico. E proprio all’interno di un suo monumentale lavoro, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, troviamo la storia di un grande legislatore, Caronda di Catania, vissuto nel V secolo a. C. Pare fosse uno dei più promettenti seguaci di Pitagora, da cui apprese la dottrina della Morale e la Scienza della Legislazione.
L’Ortolani lo indica “poco curato nella sua patria, come avviene di tutti gli uomini grandi”; questo forse costituì un motivo in più per i viaggi in Sicilia, in Magna Grecia, e in tutti i luoghi dove andò e in cui dettò leggi. Di fatto la fama del giurista divenne così nobile che i suoi conterranei si imbarazzarono a non averlo accolto in modo conveniente e cercarono di rimediare attirandolo in patria con inviti e lusinghe di ogni sorta. Sembra che Caronda godesse di una bella figura: lo attestano alcune medaglie d’argento – che di solito spettavano agli uomini rinomati – in cui si accampano simboli di giustizia e abbondanza.

Le sue leggi erano davvero speciali, erano scritte in metrica e venivano letteralmente cantate in un certo modo, pena la distorsione delle stesse. Inoltre chi avesse voluto modificarle avrebbe dovuto presentarsi in pubblica piazza recando in mano un cappio con cui esporsi alla pena di morte qualora la proposta non fosse stata accolta. L’Ortolani, nella biografia che dedica al Caronda, sistema i frammenti delle sue leggi tramandandoli secondo un proemio, gli ordinamenti di diritto pubblico, quelli civili e i criminali. Leggendo qua e là si evincono valori profondi come la difesa della famiglia, l’onestà, l’amore per i meno fortunati, il rispetto tra simili e verso la tradizione. Infine un ultimo aneddoto investe la celebrità del legislatore e riguarda la sua scomparsa.
Caronda aveva dettato una legge per cui chi si presentasse in un’assemblea armato sarebbe stato punito con la morte. Ebbene, lo storico romano Valerio Massimo riportò che un giorno il catanese, essendo stato sorpreso nelle condizioni di infrangere tale prescrizione, si diede la morte con la sua propria spada “onde essere il primo ad ubbidire alla Legge”. Di contro, Diodoro Siculo attribuisce l’episodio del suicidio a un altro famoso giurista, Diocle di Siracusa e fa morire Caronda vecchio nella sua Catania. In tutti i casi si sa per certo che i suoi concittadini gli innalzarono un monumento marmoreo, rinchiudendo il suo cadavere in un sarcofago di piombo del quale il noto storico Fazello assicurò l’esistenza accanto al duomo di Sant’Agata.
Daniela Frisone
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