La CGIL denuncia la subalternità del Governo nazionale e regionale alle decisioni di Eni sulla chiusura degli impianti di cracking di Priolo, Ragusa e Brindisi, con il rischio di gravi ripercussioni occupazionali e strategiche per l’industria italiana. Per questo motivo, il sindacato ha organizzato un presidio nazionale il 26 febbraio a Roma, davanti alla sede di Eni all’Eur, a partire dalle ore 14:00.
“Il Governo si è piegato alle decisioni di Eni, lasciando che una vertenza cruciale per l’industria italiana fosse gestita lontano dalle sedi della politica” ha dichiarato Roberto Alosi, Segretario Generale della CGIL di Siracusa. Secondo il sindacalista, la chiusura degli impianti avrà effetti devastanti: oltre 20mila posti di lavoro sono a rischio, mentre il Paese aumenterà la sua dipendenza energetica da nazioni extra UE.
La CGIL evidenzia che persino i tecnici del Ministero hanno suggerito di posticipare la chiusura fino al 2035, in attesa delle decisioni europee sulle materie prime strategiche. Tuttavia, invece di difendere l’interesse nazionale, il Governo avrebbe rimosso il dirigente responsabile del tavolo negoziale, lasciando campo libero a Eni per gestire autonomamente la questione.
“La strategia industriale di un Paese non può essere dettata da logiche di profitto aziendale” ha aggiunto Alosi, sottolineando l’assenza di una guida politica che protegga il futuro dell’industria siracusana, siciliana e italiana. Per questo motivo, la CGIL, insieme alle sigle sindacali Filctem, Fiom, Filt, Fillea e Filcams, ha deciso di scendere in piazza il 26 febbraio per chiedere un’inversione di rotta e salvaguardare il tessuto produttivo del Paese.
L’appello è chiaro: il sindacato non intende fermarsi e continuerà a lottare per difendere l’occupazione e il futuro del settore industriale italiano.
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