Qualcuno non ha risparmiato tragiche analogie di carattere occupazionale con l’ex Ilva di Taranto. Dall’ordinanza di sequestro del depuratore consortile dell’IAS – per stessa ammissione della Procura della Repubblica di Siracusa – “potranno derivare comprensibili ripercussioni sul delicato sistema economico-sociale della realtà produttiva della provincia di Siracusa”. E come in Puglia, il rischio di una forte emorragia occupazionale pende adesso sull’intera area industriale siracusana.
Le due pagine del provvedimento che mette dentro quattro anni di indagini e perizie, hanno colpito duro. Forse non tutti sono ancora riusciti a comprendere la portata di quanto avvenuto.
Il sequestro dell’impianto e il blocco, quindi, degli scarichi dei reflui delle industrie nelle vasche di smaltimento dell’IAS, provocherà inevitabilmente la chiusura degli impianti e, ovviamente, lo stop del lavoro con necessario ricorso – quando andrà bene – alla cassa integrazione.
Ormai è questione di ore visto che appena il 10% delle aziende presenti, secondo fonti autorevoli, sta accumulando i reflui in proprie strutture, ma non potrà farlo per molto tempo. Le altre, non potendo scaricare all’IAS e non potendolo fare autonomamente, dovranno premere sul tasto stop nelle sale operative. E anche per fare questo le difficoltà non saranno poche per ragioni di chiusura in sicurezza e di impiego di migliaia di operai per questa fermata improvvisa.
La linea di confine è tra una settimana. All’Amministratore giudiziario, Piero Antonio Capitini, nominato dal Gip di Siracusa, e ai periti del pool formato, il compito di trovare la soluzione che possa garantire il rispetto ambientale, gli interventi tecnici necessari, la continuità di smaltimento in sicurezza dalle industrie. E qualcuno ricorda che lo stesso smaltimento dei reflui cosiddetti domestici dei comuni di Priolo e Melilli è pagato dalle stesse aziende in quota parte. Insomma, servirebbero anche i fondi per consentire ai due comuni di continuare.
Una missione in cui, fino a questo momento, mancherebbe una figura che potrebbe essere centrale nella vicenda: la parte di proprietà pubblica che poi si legge Regione Siciliana. E nel verbale dell’Assemblea dei soci del febbraio scorso si leggeva già di gravi problemi economici che rendevano difficile “poter dare corso alla realizzazione del progetto REO, che comporta una spesa di circa 12 milioni di euro e la cui attuazione è cogente a seguito delle prescrizioni imposte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa”.
Il motivo? Il mancato rinnovo della convenzione con il Consorzio ASI e il ruolo dell’IRSAP. Insomma, da Palermo qualcuno dovrà pur rispondere all’Amministratore Capitini.
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