Chi è pratico di letteratura sa che il passaggio dall’Ottocento al secolo Ventesimo fu caratterizzato da una ventata di novità seppur dal tono salmastro e brumoso. La poesia che percorse le Alpi e giunse attraverso riviste francofone, interviste a poètes e traduzioni di testi che raccontavano dei fumi dell’oppio, dello spleen parigino, della nevrosi o la “degenerazione”, come volle intenderla qualche critico incattivito, si disse decadente e anche simbolista.
I due termini si trovarono in alternanza, a volte si accompagnarono, laddove il piglio simbolista assunse pian piano un accento più spirituale o spiritualista e corse alla ricerca dell’Assoluto.
In Italia la ventata letteraria d’oltralpe fu raccontata da fogli interessanti ancora un po’ troppo intrisi di naturalismo, ad esempio «Il Fanfulla della Domenica» diretto dal Capuana e «Il Momento», giornale palermitano di gran battaglia. Ma ciò che accadde in seguito, e parliamo di tutto un ventennio successivo, fu l’adoperarsi di un sistema poetico simbolista del tutto italico. E chi iniziò certi toni mallarmeani senza accorgersene e percepì al di là di ogni suggestione temporale l’andamento della lirica nostrana fu geniale e lo fece in Sicilia. Parliamo del cenacolo simbolista messinese, un’alcova di giovani, anzi giovanissimi, visto che il più grande sfiorava i venti anni, e si chiamava Angelo Toscano. Un nome che ancora oggi conoscono in pochi, per lo più gli addetti ai lavori.
La sua fu una carriera breve, ma di grande effetto, fu lui, insieme a Enrico Cardile, di cui parlammo in altra occasione, a mettere insieme un movimento accompagnato da revues che ebbero il loro quarto d’ora di notorietà: «Parvenze» e «Ars Nova» dei primi del Novecento anticiparono per temi e tonalità testate peninsulari di larga fama.
A raccontare la storia di questo gruppo e a dire il meglio che si poteva dire sul Toscano fu proprio Cardile, poeta, giornalista, intellettuale messinese, che visse gli ultimi anni della sua vita a Siracusa. Lo raccontò in un testo del 1927, ancora oggi rimasto inedito, dal titolo Messina di l’altrieri, in cui si evince la storia di un cambiamento, il balzo di una gioventù che riuscì a impressionare per purezza e originalità un letterato quale Gian Pietro Lucini, che nel suo testo capitale Ragion poetica e Programma del Verso Libero vantò così i simbolisti siciliani: «Sicilia riassume il coro e i suoi poeti battono, su lamine di metallo singolare, in un timbro non mai prima udito, le loro invenzioni».
Era il 1908 quando l’alfiere lombardo incensava il gruppo peloritano che da lì a poco sarebbe stato smembrato a causa del fatidico terremoto del 28 dicembre. Rimasero dei poeti però, rimasero delle idee, delle carte. Rimase Cardile e il suo testo cardine del simbolismo isolano, «Le Apocalissi» (1904), che gli diede notorietà di fondatore della scuola simbolista, laddove il “movimento simbolista messinese” o “movimento simbolista latino” sarebbe stato ricordato quale precursore di certa poesia italiana novecentesca.
Daniela Frisone
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