22 Settembre 2024

Il mito del Graal e una leggenda sul passaggio a Siracusa

Il mito del Graal, il fascino dei racconti celtici, re Artù e la sua leggendaria spada Excalibur. Tra storia e fantasia, quanto questi racconti sono lontani dal nostro mondo? E quanto invece potrebbero intrecciarsi a luoghi e tradizioni a noi familiari? Un interessante articolo di Paolo Mangiafico, pubblicato su La Sicilia nel marzo del 2006, parla di Graal e di Templari, parla di territoriche ci appartengono, di passaggi inediti tra storia e leggenda. Il discorso è abbastanza ampio, quindi andremo per gradi.

Si parte dal Sacro Catino, cioè il piatto o il calice utilizzato da Gesù nell’ultima cena e a quanto pare recuperato in Terra Santa da Guglielmo Embriaco Testadimaglio durante la prima crociata – la caduta di Gerusalemme avvenne nel 1099 – a fianco di Goffredo di Buglione. Ma nel tempo, il Graal assunse diverse simbologie, tra saghe celtiche e racconti gotici. Fino a quando Robert de Boron, nel testo Joseph d’Arimathie (scritto tra il 1170 e il 1212) affermò che con il Graal, ovvero la coppa usata nell’Ultima Cena, Giuseppe di Arimatea avrebbe raccolto il sangue del Cristo versato sulla croce. Da lì il santo lo avrebbe portato nelle Isole britanniche, dove ebbe a fondare la prima chiesa cristiana.

Questo è uno snodo fondamentale, che nei secoli ha alimentato ricerche e ipotesi sulla reliquia e il luogo che lo ospiterebbe. L’articolo di Mangiafico si rifà ai Mille volti del Graal (2005), testo di Roberto Volterri, noto archeologo romano, e di Alessandro Piana, biologo e studioso di storia e tradizione dei cavalieri Templari. E giustamente, visto che è lo stesso Volterri ad affermare: “Numerose sono le ipotesi che abbiamo preso in considerazione nell’esaminare come il Graal nei suoi molteplici aspetti abbia potuto fare la sua comparsa in Italia nel corso degli ultimi duemila anni. E per cercare questi segni che possano riferirsi al Santo Graal, siamo stati in tantissimi luoghi dell’Italia e siamo stati anche in Sicilia, sull’Etna, per incamminarci sulle tracce di Re Artù”. Qui entra in scena la leggenda.

High contrast image of Excalibur, sword in the stone with light rays and dust specs in a dark forest

Si racconta che il monarca britannico, prima di morire, desiderasse riparare la sua spada spezzata, per ricordarne la gloria vissuta. Così, pare che l’Arcangelo Michele lo portasse sulle cime dell’Etna dove il re potè saldare con la lava la sua spada e addormentarsi felice dentro una grotta. Ecco, allora, che l’indomani Re Artù, sorpreso dalla bellezza della natura circostante, supplicò Dio affinché potesse goderne ancora. Detto fatto: Re Artù continuò a vivere proteggendo Catania dalle violente eruzioni del suo vulcano. Non solo. Si dice che l’Etna si risvegli solo quando il grande cavaliere va a trovare i bimbi inglesi per donar loro fiori e frutti, insomma le meraviglie dell’Isola. Sembra incredibile come tale leggenda e i suoi risvolti si intreccino con la ricerca di Volterri e Piana, con particolare riferimento alla dominazione sveva in Sicilia. Si giunge, di fatto, a Siracusa, dato che per gli studiosi furono i cavalieri Templari a custodire il Graal, peregrinando di terra in terra. Non è un caso che, secondo una ricerca di Kristjan Toomaspoeg, membro della Commissione Storica Internazionale per le ricerche sull’Ordine Teutonico, tra gli insediamenti dei Templari, ci siano località come Murgo (a Lentini, nei pressi di Agnone) e Sant’Andrea (nel territorio di Buccheri). Poi, è ancora Mangiafico ad affermare che la presenza dei Templari nelsiracusano risale alla prima metà del XII secolo: “ciò si deduce da una bolla del 15 maggio 1144 con la quale il Papa Lucio II esorta il popolo siciliano ad accogliere con benevolenza i Cavalieri del Tempio”. Nella fattispecie, va sottolineato che, oltre alla basilica del Murgo e alla chiesa di Sant’Andrea, i cavalieri del Santo Graal posero mano ad altre tre chiese nella zona del lentinese: San Leonardo, San Bartolomeo e San Nicolò. Non ci resta che immaginare il passaggio dei Templari, la loro cura nel trasportare e custodire il Calice del Cristo in una delle chiese della città di Siracusa. È  un’ipotesi affascinante, forse non del tutto da scartare…

                       Daniela Frisone

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