21 Settembre 2024

Il viaggio di Ulisse, il viaggio di ognuno di noi

Chi viaggia salpa verso la meta della conoscenza. Accade quasi sempre, anche solo come tentativo, quindi senza un approdo certo. E in questa attesa del traguardo finale forse si riconosce l’arte dell’esploratore. I luoghi diventano tappe di un percorso più grande. Giunge la storia di traiettorie lontane e con essa il fascino di antiche leggende. La fantasia rimbalza tra narrazioni dette, non dette e altre solo suggerite, ed è lì che ha inizio il vero viaggio. All’insegna dell’avventura, magari navigando accanto al condottiero più furbo e audace di tutti i tempi. Ulisse, in un meraviglioso quanto ipotetico passaggio a sud-est del versante siciliano.

Statua Ulisse-Museo nazionale Sperlonga

Chi non conosce l’eroe che, dopo la conquista di Troia, sfidò l’ira funesta di Poseidone e tentò disperatamente per anni di ritornare nella sua amata Itaca? Chi non sa delle sue imprese titaniche, dell’incontro con Polifemo nella terra dei Ciclopi a un passo dall’Etna? Dell’isoletta accanto a quelle coste in cui Ulisse con i suoi compagni andò a caccia di capre? La stessa isoletta che potrebbe essere identificata con Lachea o Aci, il più grande dei cosiddetti “scogli dei Ciclopi” di Acitrezza… e forse in quella “densa caligine”, ovvero le ceneri dell’Etna, che “stava intorno alle navi”, si potrebbe scorgere il Porto di Ulisse, praticamente Ognina a Catania.

Ma andiamo a rintracciare qualche ombra dell’Odissea nel mare siracusano. Ulisse, oltrepassati Scilla e Cariddi, cioè lo stretto di Messina, giunse all’Isola del Sole, ovvero la Trinacria. L’eroe avrebbe voluto evitarla ma i suoi compagni lo spinsero ad approdarvi per sottrarsi ai venti di Mezzogiorno e di Ponente che molto spesso sono causa di spaventose tempeste. Le navi, secondo una ricostruzione del filosofo Licofrone, avevano superato il Capo Pachino (l’attuale Portopalo) ed erano approdate nell’insenatura che oggi prende il nome di Porto Ulisse.

Porto Ulisse (foto Dente)

Fu così che i Greci si trattennero in quella zona per un mese sempre a causa dei venti non favorevoli alla navigazione. Accadde però che i compagni di Odisseo, spinti dalla fame, ruppero il giuramento fatto al loro prode di non toccare i vitelli del Sole e di nascosto se ne cibarono. Nonostante i duri rimproveri di Ulisse ai suoi amici,  Giove scagliò ugualmente contro i marinai la sua furia. Infatti, “di vista già della Trinacria usciti”, dopo un breve tratto, “uno stridulo ponente” colpì la loro imbarcazione: un vento furioso ruppe le funi, le vele e l’albero maestro. La nave, a causa di un fulmine di Giove colò a picco con tutto l’equipaggio. Solo Ulisse si salvò, legandosi all’albero spezzato. Poi attraversò ancora una volta Scilla e Cariddi, e dopo diversi giorni approdò nell’isola di Ogigia, la dimora della ninfa Calipso.

Alcuni studiosi hanno sovrapposto quest’isola con quella di Gozo, nell’arcipelago maltese; altri con l’isola Melena nell’Illiria, l’attuale Albania. Certamente Ogigia non può non riecheggiare nel nome di Ortigia, lo splendido isolotto del siracusano, anche perché il racconto ricalca le condizioni meteorologiche delle nostre coste. Così, se ipotizziamo che il “turbinoso vento” che impediva l’uscita in mare fosse lo scirocco, la nave non era molto distante da Pachino. Forse Ulisse era tornato indietro. Forse vagava tra i flutti del nostro mare.

Daniela Frisone

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