5 Febbraio 2025

La moda femminile e la visione Futurista

La definiva “un’epidemia creata ad arte”. La moda per George Bernard Shaw era una specie di malattia contagiosa. Da sempre, tutto e il contrario di tutto: l’importante è seguirla per non uscire dal giro. L’abbigliamento, gli accessori, le acconciature, il trucco per le donne. Passaggi di eleganza e creatività, visioni kitsch e ricerche consumistiche. Gli uomini, anche loro a spasso con la dea capricciosa.

Filippo Tommao Marinetti

C’è poco da fare, la moda ha sempre vestito la vita di chiunque, ne ha interpretato gli stati d’animo, i cambiamenti sociali. E chi si è trovato in periferia ha subìto il suo fascino, ma a scoppio ritardato. Pensate che solo negli anni Venti esplose il fenomeno futurista a Siracusa, anche se le prime avvisaglie del movimento più spregiudicato del secolo avevano già fatto presa tra alcuni intellettuali del decennio precedente. Come sappiamo il clou della notorietà per Marinetti nella città di Archimede fu la campagna futurista contro le Rappresentazioni Classiche al Teatro greco nel 1921. Da lì in poi, proprio sul finire di quegli anni, i periodici locali sfornavano a ruota continua articoli su questa e quell’altra trovata del poeta egiziano.

In particolare, «L’azzurro» del 1929 informava su una sua nota riguardo alla moda femminile di quell’anno: «Le vesti tendono sempre più a realizzare il tipo a “ras-bas” individuato dall’ “argot” parigino; il che può tradursi: vesti corte, molto corte, cortissime…».

Il testo non firmato dava certamente un grosso scossone alla sonnolenta cittadina. E ancora: «Vedrete: riusciremo ad “educare” il nostro sguardo davanti a certe linee geometriche non ancora segnate dal compasso erotico della moda denudatrice!».

Parola di Marinetti, che continuava: «In quanto ai capelli, il 1929 segnerà la bancarotta della “garconne”: a Parigi i capelli già si allungano e fra non molto ritornerà la magnifica capigliatura, caratteristica squisita dell’eterno femminino!». Incredibile ma vero! Il condottiero futurista sembrava avere in mente la donna degli anni Sessanta: miniabiti, capelli lunghi, forme geometriche.

Dulcis in fundo il redattore, per dare man forte alle impennate marinettiane, incitava le lettrici a comprendere che una volta tanto il capo del futurismo aveva «rinnegato il canone fondamentale di “Guerra al Passato” in omaggio ai capelli lunghi». Un modo come un altro per indorare la pillola di un cambiamento sociale in atto.

Daniela Frisone

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