La nottata tra l’uno e il due novembre era una meraviglia. Si trattava di incontrare chi non c’era più, chi ci aveva lasciato magari prima ancora di conoscerlo. Forse era un nonno o uno zio di cui tutti avevano un chiaro ricordo, o era la nonnina che era andata via troppo presto e non aveva fatto in tempo a festeggiare l’ultimo compleanno.
Camilleri scrisse, e lo fece distintamente, come sempre nel suo modo dolcissimo e mansueto di raccontare, che questo rituale dei morti, dei parenti defunti che venivano a trovare i loro cari in vita, vestiti di tutto punto e con lo stesso sorriso delle foto in bianco e nero, durò fino al 1943, fino a che non giunsero gli americani. Ma noi ricordiamo che per qualche anno ancora il rito magico attraversò la vita dei siciliani.
In untempo lontano, ma pur sempre recente, distante dal mondo artefatto di Halloween, da internet e social vari, diciamo fino a tutti gli anni Ottanta, i ragazzini in Sicilia, nella notte che attendeva l’alba del due novembre, si aspettavano una carezza dai parenti trapassati, ma soprattutto doni conditi da dolci, che rappresentavano quel pizzico d’amore celeste filtrato da una festa segnata in rosso sul calendario. Chi attraversava la notte, quella notte tra l’uno e il due, invaso dal sudore, dai presentimenti, dalla voglia di conoscere, non provava paura o il desiderio macabro di imbattersi in lenzuoli danzanti, zucche animate o spifferi striduli e “scrusci” di catene tra corridoio e terrazzo. Per i bimbi i morti erano buoni, i nostri morti erano una parte della famiglia che abitava, diciamo così, dall’altro lato del fiume e riusciva per qualche ora ad attraversarlo e in modo del tutto naturale veniva asalutarci. Nei racconti più accesi, nella tradizione più antica, chi attendeva i defunti, “cunzava” la tavola con una bella tovaglia chiara e ci metteva sopra del pane e dell’acqua. Erano simboli forti, simboli di vita, di accoglienza, di rinascita se vogliamo, ma soprattutto di rispetto per chi aveva condiviso con chi restava una parte della loro esistenza. Inoltre, questi “morticeddi” si immaginavano con un piccolo lumino, una fragile fiammella che saltava su dal pollice verso per illuminare le stanze buie di chi già aveva preso sonno e lasciare ai piccoli qualche traccia del loro passaggio. Erano dolciumi di marzapane, biscotti regina, i pupi e rami di miele, le cosiddette ossa dei morti, qualcuno riusciva anche a ricevere il carbone zuccherato che sapeva tanto di Befana,dato che veniva consegnato ai bimbi che non si erano comportati bene, per lo meno fino a quel momento e secondo il giudizio dei defunti. Infine la mattina del due novembre c’era chi riceveva lebamboline di pezza e qualcun altro le macchinine, poi si andava tutti insieme, con papà e mamma, a ricambiare della visita i nostri morti, si andava al cimitero a trovarli e spesso c’era un gran sole che illuminava le loro tombe.
Daniela Frisone
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