Tra il Cinquecento e il Settecento Palermo contava numerose istituzioni culturali di alto grado. Tre di loro, l’Accademia degli Accesi (1568), l’Accademia dei Riaccesi (1622) e l’Accademia del Buon Gusto (1718) esprimevano l’acuta intenzione di imprimere una carica formativa non indifferente.
Le loro attività, che si muovevano nell’ambito della letteratura, della filosofia e della questione della lingua, non erano particolarmente inclini alla ricezione di un’utenza femminile. Le donne avevano poco spazio di comparizione e di esplicitazione delle loro doti creative.
L’argomento è ben sciorinato da Andrea Schembari in Un episodio della querelle des femmes nella Sicilia del Settecento: l’Apologia filosofico-storica di Vincenzo Di Blasi (2021), che sottolinea: “La questione femminile non varcò mai le soglie dei palazzi che ospitavano le adunanze, e la stessa considerazione intellettuale delle donne dovette essere argomento di difficile sdoganamento”.
Per fortuna “altri spazi di mediazione e divulgazione culturale, più dinamici e sicuramente alla moda, si erano oltretutto già affiancati alle accademie, anche a Palermo”. A quanto pare furono i salotti privati ad accogliere la famosa querelle des femmes, che sin dai tempi dei goliardi medievali solleticava l’opinione pubblica sul perché storico dell’inferiorità femminile rispetto al primato maschile. Fu una disputa intensa che culminò con la pubblicazione della Apologia filosofico-storica in cui si mostra il sesso della donna superiore a quello degli uomini del patrizio palermitano Vincenzo Di Blasi e Gambacorta, editata a Catania nel 1737.
Il noto giurista, accademico del Buon Gusto, scrisse il libello a seguito di diverse pubblicazioni che avevano animato la polemica, iniziata nel 1734 con Lu vivu mortu. Effettu di lu piccatu di la carni causatu da lu vanu, e bruttu amuri di li Donni, causa principali d’ogni dannu, a firma di Antonio Damiano (pseudonimo di Luigi Sarmento, speziale di Carini). Domenico Scinà nel Prospetto della storia letteraria di Sicilia del 1824 ricorda che si trattava di “una filastrocca di versi siciliani rimati a due a due, e tutta indirizzata con grand’amarezza contro le donne”. Questo componimento scatenò nello stesso anno la replica in endecasillabi siciliani di Pietro Pisani con La verità manifestata in favore delle donne in risposta al libretto nuovamente stampato “Lu vivu mortu”.
Ebbene, la nota interessante fu che la polemica trovò un suo momento topico l’anno successivo grazie alla risposta, sempre in versi siciliani, delle poetesse Dorotea Isabella Bellini di Guillon e Genoveffa Bisso, a conferma della reale presenza di una coscienza letteraria al femminile nel palermitano. Argomento suggestivo questo, che merita un’indagine appropriata.
Daniela Frisone
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