Non siamo più i greci di una volta, dobbiamo dircelo sinceramente. E non lo siamo da molto tempo ormai. Non amiamo la polis, quella che si costruisce insieme, quella dove il confronto pubblico è l’anima. Siamo rassegnati, “volontariamente” o “involontariamente”, a scelte molto spesso legate a logiche di piccolo scambio politico. E non partecipiamo, tranne che riempire le nostre pagine social di giudizi e “tuttologismi” improbabili. Ci sono quelli che riescono a non farti capire da che parte stanno e, soprattutto, se c’è almeno una cosa che possa andare bene. Questi ultimi sono i più tristi.
E che non siamo più i greci di una volta lo stiamo rivedendo ancora in questi giorni con lo “scontro” tra i “tutti a cantare al teatro greco” e quelli che “il teatro va preservato”.
E ho usato la parola “scontro” appositamente, perché non siamo capaci di credere in un dibattito, dove si parla, ma si ascolta anche. Si resta al chiuso di chat di discussione condivise tra pochi. La politica fatta su whatsapp, quella che, sinceramente, mi sta un po’ stancando perché mi assomiglia sempre più alla creazione di piccole tribù che preferiscono parlarsi tra di loro. Che è sempre meglio che esprimere pubblicamente certi pensieri, tanto – qui la rassegnazione “volontaria” o “involontaria” fate voi – non potrà cambiare nulla.
E invece, tornando al tema principe di questi giorni, nessun intervento politico sull’utilizzo delle aree archeologiche. Tema che riguarda tanti luoghi nel paese, ma che viene fuori soltanto quando l’amministrazione di turno annuncia una serie di concerti da mettere invidia anche ad Amadeus e al suo festival.
Comincia allora lo “scontro” di chi continua a ripetere o, peggio, a chiedere agli esperti: “perché Taormina e Verona sì e noi no?”. E giù lì la solita risposta: “perché quelli sono fatti con i mattoni che puoi sostituire quando vuoi e il nostro è una scultura modellata nella roccia”. Non sembra difficile capirlo, o no?
Il nostro paragone dovrebbe essere esclusivamente il teatro di Epidauro dove – ho fatto qualche ricerca e spero di aver letto bene – l’unico incredibile concerto sold out è stato quello di Maria Callas all’inizio degli anni ’70.
Qui – e la cosa fa sorridere abbastanza – ci si confronta sul possibile livello di coinvolgimento del pubblico in danze sfrenate. Della serie “con Massimo Ranieri c’è poco da saltare, quindi ok”, “con i Negramaro si saltella un po’, ma cavolo tre serate”, “con Mika e Zucchero, ahi ahi, altro che salti”, “con De Gregori e Venditti, così come con Giorgia, si resta comodamente seduti a godersi le sere d’estate con unico strappo il movimento ondulatorio dello smartphone accesso romanticamente”.
Insomma, tutto troppo ovvio, eccessivamente ovvio. Nessuno in questi anni ha mai proposto di pensare alla creazione di uno spazio adeguato ad accogliere questo tipo di eventi. Ce ne si ricorda quando qualcuno ti spiattella un calendario rockettaro acchiappa like, per il resto è rassegnazione.
Non siamo più i greci di una volta, no, non lo siamo più.
Prospero Dente
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