8 Settembre 2024

Raniero Alliata di Pietratagliata, l’ultimo dei Gattopardi

Si chiamava Raniero Alliata di Pietratagliata ed era principe del Sacro Romano Impero. Ultimo dei Gattopardi, uomo dalle innumerevoli eccentricità. Definito “principe mago” per la sua passione per lo spiritismo e il mondo occulto. Viveva a Palermo in una splendida villa, più verosimilmente in un castello, in via Serradifalco. Lì visse praticamente isolato dal 1925 dopo una grossa perdita ai tavoli verdi del circolo nobiliare Bellini, con un cartellino appeso al cancello che benediceva gli amici e malediceva i parenti.

La solitudine era la sua dimensione ideale, gli dava la possibilità di sfamarsi di cultura, sui generis per intenderci. Raniero fu un notevole naturalista, realizzò la più grande collezione di insetti e farfalle del secolo. Fu anche fantasioso pittore, scultore, evoluzionista, glottologo, ma soprattutto gli venivano riconosciute rare capacità medianiche da quel mondo aristocratico che tanto ne veniva affascinato. A quei tempi il culto per la magia dilagava in Sicilia.

Bent Parodi nel romanzo Il Principe Mago (ed. Tipheret) racconta di un’intera generazione di giovani Gattopardi che si dilettava tra il serio e il faceto a scomodare l’aldilà con i tavolini a tre piedi. Tra loro c’erano Giuseppe Tomasi di Lampedusa e i fratelli Piccolo, il poeta Lucio e il pittore Casimiro, di Calanovella.

Dopo la prima esperienza bellica Raniero rimase orfano del padre, il principe Luigi, e la madre non fece nulla per allontanarlo dal vizio del gioco, che lo indusse alla reclusione in via Serradifalco per cinquantaquattro anni. La sua passione entomologica nacque in quegli anni.

“Raniero – racconta Parodi – scoprì varianti della specie, insetti sconosciuti con l’aiuto di qualche assistente entusiasta che cercava con pazienza certosina nei boschi delle Madonie e dei Nebrodi, farfalle, cetonie e cerambici”.

La sua fama raggiunse gli ambiti accademici, gli fu più volte offerta una cattedra all’Università di Palermo, che puntualmente Raniero rifiutò. Dormiva di giorno e si svegliava alle sei di pomeriggio per lavorare fino all’alba. Negli anni tra il 1945 e il 1965, assistito dalla moglie norvegese, visse con maggiore insistenza la sua misantropia: “prese a vivere nel mondo degli spiriti, affermava d’essere in contatto con un gruppo di anime disincarnate che ogni notte comunicavano con lui sotto scrittura medianica”. Il passo verso la magia nera fu breve e questo gli costò il diradarsi delle visite dei pochi ospiti abituali. Giunse alla fine con i suoi ottantadue anni senza un testamento, senza una tomba al cimitero. Una fine silenziosa che corrispose con la scomparsa di un mondo dove i Gattopardi contavano ancora.

Daniela Frisone

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